11 marzo 2020 - 21:54

Coronavirus, in Italia chiudono negozi, bar, e ristoranti fino al 25 marzo. Garantiti i trasporti

Restano aperti tabaccai ed edicole. Il premier Conte: «Vedremo l’effetto di queste misure tra un paio di settimane. La regola madre rimane la stessa: dobbiamo limitare gli spostamenti, per motivi di necessità o per fare la spesa».

di Monica Guerzoni e Fiorenza Sarzanini

Coronavirus,  in Italia chiudono negozi, bar, e ristoranti fino al 25 marzo. Garantiti i trasporti Ansa
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Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha firmato nella serata di mercoledì 11 marzo un decreto che prevede, dal 12 marzo al 25 marzo, la chiusura di negozi, bar e ristoranti (qui l’elenco completo). Saranno limitati gli spostamenti delle persone alle esigenze davvero indispensabili come la spesa e i farmaci. Dopo la richiesta arrivata dalla Lombardia, il governo ha dunque deciso di inasprire le disposizioni relative a tutta la penisola — che rimarrà «zona protetta» — per contenere l’epidemia di coronavirus (qui i dati aggiornati all’11 marzo: 12.462 casi e 827 morti), ormai divenuta, come precisato dall’Organizzazione mondiale della Sanità, una pandemia.

Le parole di Conte

«Siamo il Paese che, in Europa, è stato colpito più duramente dal Coronavirus», ha detto il presidente del Consiglio in un videomessaggio. «Ma siamo anche quelli che stanno reagendo con maggior forza, diventando giorno dopo giorno un modello anche per gli altri. Ho fatto un patto con la mia coscienza: al primo posto c’è e ci sarà sempre la salute degli italiani. Solo pochi giorni fa vi ho chiesto di cambiare le vostre radicate abitudini di vita, rimanendo in casa il più possibile, uscendo solo lo stretto necessario. Ero consapevole che si trattava di un primo passo, e che ragionevolmente non sarebbe stato l’ultimo. È ora di compiere un passo in più, quello più importante». Conte ha a quel punto dettagliato le attività che, da giovedì e per due settimane, rimarranno chiuse: «Tutte le attività commerciali e di vendita al dettaglio, ad eccezione dei negozi di generi alimentari, di prima necessità e delle farmacie. Quindi — ha aggiunto — non è necessario fare nessuna corsa per acquistare cibo nei supermercati». Chiudono «negozi, bar, pub, ristoranti, parrucchieri, centri estetici, i reparti aziendali che non sono indispensabili per la produzione». E ha aggiunto: «A breve nominerò anche un commissario straordinario, con ampi poteri di deroga, che potrà potenziare la produzione di beni che occorrono. Il commissario, il dottor Domenico Arcuri, amministratore delegato di Invitalia, si coordinerà con il dottor Borrelli e con la struttura della Protezione civile, cui va il mio ringraziamento». «Se saremo tutti a rispettare queste regole usciremo in fretta da questa emergenza, il Paese ha bisogno della responsabilità di ciascuno di noi. Siamo parte di una medesima comunità: ognuno si giova dei propri e degli altrui sacrifici. Siamo una comunità di individui. Rimaniamo distanti oggi per abbracciarci tutti poi. Tutti insieme ce la faremo», ha concluso.

Che cosa chiude?

Sono sospese – secondo quanto riferito dal presidente del Consiglio – le attività commerciali al dettaglio, fatta eccezione per le attività di vendita di generi alimentari e di prima necessità.
Chiusi i mercati su strada.
Chiusi i bar, i pub, i ristoranti.
E i servizi di mensa che non garantiscono la distanza interpersonale di un metro. Restano chiusi i reparti aziendali non indispensabili per la produzione: le industrie e fabbriche potranno continuare a svolgere le proprie attività produttive a condizione che assumano misure di sicurezza adeguate ad evitare il contagio. Si incentiva la regolazione di turni di lavoro, ferie anticipate, chiusura dei reparti non indispensabili.
Restano chiusi fino al 3 aprile – come da precedente decreto – musei, cinema, teatri, scuole e università.

Che cosa resta aperto?

Le attività commerciali legate alla vendita di generi alimentari e di prima necessità; sia nell’ambito degli esercizi commerciali di vicinato – insomma: il panettiere, la latteria, il macellaio – sia nell’ambito della media e grande distribuzione (ipermercati, supermercati, discount di alimentari), anche all’interno dei centri commerciali
Restano aperte le farmacie, le parafarmacie, le edicole, i tabaccai: tutti devono far rispettare la distanza di sicurezza interpersonale di un metro.
Resta consentito il commercio al dettaglio in esercizi non specializzati di computer, periferiche, attrezzature per le telecomunicazioni, elettronica di consumo audio e video, elettrodomestici.
Resta consentita la ristorazione con consegna a domicilio, nel rispetto di norme igienico sanitarie molto precise.
Restano aperti i ristoranti nelle aree di servizio stradali e autostradali e nelle stazioni ferroviarie, negli aeroporti e negli ospedali.
Aperti anche servizi bancari, finanziari, assicurativi, pompe di benzina, idraulici, meccanici, artigiani.
Consentito anche il commercio al dettaglio di ferramenta, vernici, vetro e materiale elettrico e termoidraulico; articoli igienico-sanitari, articoli per l’illuminazione, articoli medicali e ortopedici, profumerie, piccoli animali domestici, ottica, saponi, detersivi. Aperte anche le lavanderie.
L’attività del settore agricolo, zootecnico e di trasformazione agroalientare.
Industrie e fabbriche – ha detto il presidente del Consiglio - continueranno le proprie attività a condizione che proteggano i lavoratori con protocolli di sicurezza speciali.

Cosa cambia (ma resta garantito)?

Il funzionamento dei mezzi di trasporto pubblico, che potranno adattare il numero di corse per garantire solo i servizi minimi essenziali.

La regola madre

Il premier ha spiegato che «la regola madre rimane la stessa: dobbiamo limitare gli spostamenti», limitandoli a «motivi di necessità, emergenza, o per fare la spesa». L’effetto di questo «grande sforzo», ha detto Conte, «lo potremo vedere tra un paio di settimane. Non bisogna pensare che già domani, nei prossimi giorni, potremo misurare l’impatto di queste misure. Se saremo tutti a rispettare queste regole usciremo in fretta da questa emergenza: il Paese ha bisogno della responsabilità di ciascuno di noi. Siamo parte di una medesima comunità: ognuno si giova dei proprie e degli altrui sacrifici. Siamo una comunità di individui. Rimaniamo distanti oggi per abbracciarci tutti poi. Tutti insieme ce la faremo».

Il retroscena

Per ore Palazzo Chigi ha lavorato a un decreto ad hoc per la sola Lombardia, che da giorni, spaventata per l’aumento esponenziale dei contagi e dei morti, invocava di «chiudere tutto». Ma poi al vertice del governo hanno prevalso le tesi del ministro Francesco Boccia (che ha spinto per varare norme omogenee, valide per tutto il territorio nazionale) e il pressing di Roberto Speranza. Il responsabile della Salute da giorni insiste sulla linea dura e l’asse con il presidente lombardo Attilio Fontana è stato fondamentale per convincere Giuseppe Conte ad assumersi il peso di una decisione forte e grave. «Speranza è quello meno timido, il ministro di Leu ha capito tutto», ha confidato ai collaboratori il governatore leghista. Il Pd, che contestava «misure a macchia di leopardo», è d’accordo. Il M5S, che aveva spinto per respingere la prima versione della lettera di Fontana a Conte, perché «debole, vaga e incompleta», sostiene la decisione del governo. E Matteo Renzi non può che gioire visto che da giorni, in asse con Matteo Salvini, chiedeva al premier il coraggio di un altro, energico giro di chiave.

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